È stato battezzato Coronavirus, perché nelle foto al microscopio ricorda una corona. Sì, ma solo perché i microscopi che sono in grado di fotografarlo appiattiscono l’immagine, così come una palla sembrerebbe una frittella. In realtà il Coronavirus non ha una forma circolare, ma sferica. Le protuberanze che appaiono nella foto intorno alla sua circonferenza, e gli conferiscono l’aspetto di una corona di spine, si trovano in effetti su tutta la sua superficie sferica. L’oggetto che ricorda questo virus perciò non è una corona, ma una mazza ferrata medioevale, la palla di metallo da cui spuntavano aculei o, in alternativa, un riccio di mare (per quanto nel Coronavirus le spine non siano così fitte).
Questa piccola digressione ci aiuta a capire un aspetto fondamentale dei virus: se non si riesce a fotografarli bene è perché sono davvero minuscoli! I batteri ci sembrano piccoli, un centesimo della sezione di un capello, ma i virus lo sono molto di più, un centesimo dei batteri. Oggetti di queste dimensioni non possono essere osservati con un normale microscopio a lenti. Occorrono apparecchi molto più sofisticati che non utilizzano la luce, ma correnti elettriche. Essendo così piccoli, i virus non possiedono organelli con cui svolgere le loro funzioni vitali. Anzi tutte le loro funzioni sono ridotte all’osso. I virus vivono, se la loro si può considerare vita (gli scienziati ancora dissentono su questo punto) solo per riprodursi e moltiplicarsi. Non fanno altro. E pure per questo minimo sindacale hanno bisogno di qualcuno che svolga il lavoro per loro. Lo schiavo involontario, con funzioni di incubatrice, è una cellula, di solito una delle cellule di un organismo pluricellulare. L’uomo, per esempio.
Il virus è quindi “parassita necessario”. Il virus infetta la cellula, costringendola a produrre, invece che altre cellule come sarebbe normale, altri virus. Così si diffonde all’interno dell’organismo malato e, da questo, ad altri organismi, tramite diversi processi di contagio che cambiano a seconda del tipo di virus. Le modalità di trasmissione del Coronavirus non sono ancora accertate. Si suppone che occorra un avvicinamento alle vie respiratorie di un malato, forse un contatto coi suoi fluidi fisiologici, e che non basti toccare i suoi effetti personali. Chi viene contagiato comincia ad accusare i classici sintomi influenzali, tosse, raffreddore, febbre con, in aggiunta, un grande affaticamento polmonare.
I casi di contagio accertati sono oltre tremila e tremila sono i casi sospetti. La mortalità è oltre il 2%, un’ottantina di persone finora. Ma, con locuzione cara ai giornalisti, “il tragico bilancio” è fatalmente destinato a salire. Infatti, nonostante le imponenti misure di prevenzione, che hanno già messo in quarantena intere province con una popolazione complessiva confrontabile a quella italiana, le festività del capodanno cinese -per quanto poi interrotte- e il concorso di molta gente in luoghi pubblici ristretti, come ad esempio autobus o metropolitane, hanno favorito il propagarsi dei germi. Manzoni ci riferisce che l’esplosione della peste a Milano si ebbe quando il popolo, per scongiurare l’epidemia, pretese di portare in processione le spoglie di san Carlo Borromeo, nonostante l’opposizione di suo cugino, il Cardinale Federigo. Ogni assembramento è focolaio certo di infezione.
Ad aggravare il problema, ci sono altre due complicazioni. La prima è il lungo tempo di incubazione della malattia, probabilmente fino a due settimane, periodo nel quale l’individuo infetto è contagioso, pur non avvertendo i sintomi della malattia. La seconda è che uno studio pubblicato da una delle riviste mediche più prestigiose del mondo, The Lancet, ipotizzerebbe la possibilità di portatori sani di Coronavirus, che si troverebbero cioè nella condizione dei malati in incubazione, ma per un tempo indefinito. Il prof. Kwok, primo autore di questa ricerca, li ha definiti in modo piuttosto pittoresco “polmoniti asintomatiche che camminano”… Purtroppo, essendo un virus sconosciuto, non esiste un vaccino.
E qui veniamo al cuore della questione. Da dove diavolo esce un nuovo virus? Dove è stato nascosto finora? Non era nascosto da nessuna parte, semplicemente ancora non esisteva! Quando il virus costringe la cellula a servirlo come suo strumento di riproduzione, la cellula non può che obbedire. Tuttavia, come avviene in ogni processo di replicazione biologico, la cellula, pur eseguendo una copia del virus, non è capace di farla esattamente conforme all’originale: compie sempre qualche piccolo errore. Il virus replicato, quindi, è molto simile a quello che ha infettato la cellula, ma non uguale, perché presenta qualche minima variante. Il virus è “mutato”.
Per capire meglio questo meccanismo, si pensi a una fotocopia. Sarà molto simile all’originale, ma avrà i contorni leggermente sfumati. Facciamo la fotocopia della fotocopia. I margini saranno ancora più imprecisi e le lettere meno distinguibili. Ora facciamo la fotocopia della fotocopia della fotocopia e così via. Si arriverà a una fotocopia così confusa, che sarà difficile in molte sue parti ravvisare le forme iniziali. In modo simile, a ogni ciclo riproduttivo, nuove mutazioni si aggiungono al virus. Muta oggi, muta domani, alla fine il virus discendente è sostanzialmente diverso dal suo capostipite. È nato un nuovo virus e il vaccino che debellava il capostipite è inefficace sul discendente, perché non lo identifica più. Bisogna quindi ricominciare tutto daccapo, cercando un altro vaccino. Però occorre tempo per svolgere le ricerche e avviare la sperimentazione e, nel mentre, il contagio si propaga.
Qualcuno sostiene che il nuovo Coronavirus discenda da un altro Coronavirus, quello che nel 2003 produsse la Sars, la Sindrome Respiratoria Acutissima, sempre in Cina. La Sars era simile sotto alcuni aspetti all’epidemia attuale. Era più grave, ma meno contagiosa. La struttura del virus della Sars era simile all’80% a quella del virus di oggi. Sembra accertato che la Sars fu trasmessa all’uomo dallo zibetto, un mammifero notturno che vive sulle palme, che viene ingabbiato per scopi che buon gusto e decenza mi impediscono di riferire. Il contatto ravvicinato con gli zibetti, affetti dal Coronavirus, avrebbe provocato la trasmissione all’uomo.
Anche stavolta è probabile che sia stato il contatto con animali esotici la fonte del contagio. Infatti sembra che il centro propagatore dell’epidemia sia il mercato delle carni della città di Wuhan, nella Cina orientale. E quando scrivo carni, intendo carni davvero di ogni tipo, perché i gusti alimentari di alcune province cinesi sono davvero ecumenici. Basti dire che un loro adagio recita “mangiamo tutto ciò che ha quattro zampe, tranne sedie e tavoli; tutto ciò che sta in acqua, tranne le barche e tutto ciò che vola, tranne gli aerei”.
Quindi, in assenza di adeguate misure igieniche, di un rigoroso protocollo per la macellazione, di una filiera certificata di provenienza degli animali, non c’è da stupirsi che periodicamente si ripresentino le condizioni per nuove epidemie. Ci si potrebbe domandare: “ma in passato non sarà stato anche peggio? Adesso la Cina non è più un Paese in via di sviluppo”. La risposta è che sì, probabilmente in passato questi fenomeni saranno stati ancora più frequenti, per le condizioni di vita promiscue delle comunità rurali cinesi. Tuttavia erano fenomeni locali e circoscritti, di cui non si veniva neanche a conoscenza e, soprattutto, con cui non venivamo a contatto! Ora invece la “Cina è vicina” e la comunità internazionale dovrebbe sollecitare affinché vengano recepiti anche lì protocolli sanitari rigorosi per adeguarsi alle normative che vigono nei Paesi ai quali la Cina dice di volersi aprire…