Visegrad fa male all’Italia: gli amici polacchi di Giorgia bocciano il Patto per la migrazione e l’asilo

Per quanto la premier si sforzi con indefessa determinazione, la coperta era e resta corta. Ogni giorno si copre tra mille acrobazie un pezzetto, si festeggia l’obiettivo raggiunto ma ecco che se ne scopre subito un altro. Tanta fatica, ad esempio, anche con i colleghi di maggioranza, per mettere a tacere i ritardi e le inefficienze sul Pnrr tanto da arrivare ad escludere nei fatti Corte dei Conti e Parlamento dalle periodiche verifiche previste ed ecco che a Bruxelles Giorgia Meloni si prende uno stop imbarazzante proprio dai suoi amici di Visegrad e su un dossier delicatissimo come l’immigrazione.

È successo mercoledì nelle stesse ore in cui a Roma Raffaele Fitto, il superministro con delega a Pnrr, fondi europei e Rapporti con l’Europa, spiegava in una conferenza stampa che il governo “non ha messo il bavaglio a nessuno, meno che mai alla magistratura contabile e che tutto sul Pnrr procede nei modi e nei tempi previsti con Bruxelles”. Il Piano, certo, sarà modificato per poter essere spesi tutti i fondi stanziati (200 miliardi), ma come lo sapremo solo alla fine di agosto.

Roba che se poi l’Europa ci boccia le modifiche non ci saranno più tempi di recupero. I flussi migratori sono la spina nel cuore del governo che doveva risolvere il problema alzando “muri navali”. Dopo la tragedia di Cutro e nonostante i ben due decreti, gli sbarchi sono arrivati a 50mila nei primi cinque mesi dell’anno. È un più 156 % rispetto ai primi cinque mesi dell’anno scorso.

La prima nazione di partenza è sempre la Tunisia, anche se nelle ultime quattro settimane il flusso è un po’ calato (causa maltempo) e la Libia è tornata ad essere il primo paese di partenza. Insomma, il governo ha già dichiarato lo stato di emergenza ma in vista dell’estate è necessario e indifferibile avere una risposta europea. Entro la fine del semestre di presidenza svedese. Che poi prima che si insedia la Spagna, prende in mano il dossier e riesce a combinare qualcosa siamo in autunno. E sarà troppo tardi.

Solo che proprio l’altro giorno il “Patto per la migrazione e l’asilo” messo sul tavolo dalla Presidenza della Commissione e che i 27 devono approvare all’unanimità, ha subìto un nuovo stop. Prima dalla Polonia: i cari amici polacchi di Giorgia Meloni, tanto da averla nominata alla presidenza del partito conservatore (Ecr) ed averle affidato la mission di cambiare pelle e colore alla maggioranza politica europea, sono stati i primi a dire ancora una volta no. A seguire, nel giro di 48 ore, si sono aggiunti Ungheria, Austria e tutti i paesi del nord Europa. I soliti Visegrad, insomma, quelli con cui il governo fa patti su strategie e alleanza politiche ma poi non tocca palla quando c’è da dare una mano all’Italia che con Cipro, Malta, Grecia e Spagna costituisce il confine europeo preso d’assalto dai flussi migratori.

La proposta messa sul tavolo dalla Svezia prevede quote obbligatorie per i ricollocamenti. Quote che, se non rispettate, obbligherebbero il Paese restio all’accoglienza a pagare una somma per ogni migrante al quale non viene data luce verde per l’ingresso. Si parla di “solidarietà obbligatoria sull’accoglienza dei migranti” lasciando però ai Paesi la scelta tra il ricevere chi va ricollocato o pagare. Il ministro degli Affari interni polacco Mariusz Kaminski ha parlato di “trasferimento forzato” e ha puntato il dito anche contro la “grossolana sproporzione” prevista a livello economico: 200 euro al governo polacco per ogni rifugiato ucraino accolto contro i 22mila euro per ogni migrante assegnato ma non accolto in quel determinato paese”.

L’idea allo studio sarebbe di introdurre un meccanismo per quote: una formula, calcolata sulla base di dati oggettivi e condivisi tra Stati, con cui verrebbe definita “la capacità adeguata” di un Paese di ospitare ed integrare migranti. La quota di migranti ospitati avrebbe un tetto annuale per i paesi di primo approdo. L’8 giugno è in programma il Consiglio Affari interni. Vedremo se da qui ad allora succederà qualcosa. Che possa fare dire a Meloni “stiamo risolvendo il problema”.

Ieri, per correre ai ripari e far ragionare i suoi amici di Visegrad, Meloni ha avuto un incontro a tre con la presidente von der Leyen e il premier olandese Rutte a margine dei lavori del Vertice sulla comunità politica europea (i 27 più altri 27 paesi dell’est Europa). I flussi comunque interessano già tutta Europa perché molti scappano dal paese di primo approdo e vanno già dove vogliono andare continuando il viaggio nell’illegalità.

Il governo e la maggioranza dicono, anzi rivendicano, che va tutto bene. L’Italia è l’unico paese che cresce (Pil più 1%) e questo è “merito dell’azione del governo” di cui siamo tutti soddisfatti. Ma non si può non notare che una quantità di problemi vengono nascosti qua e là, dal Pnrr all’inflazione, dall’aumento delle disuguaglianze sociali ai problemi non risolti con giustizia, concorrenza di mercato, burocrazia e sistema fiscale. Che poi sono i pilastri di un paese sano. Il resto rischia di essere circostanze fortuite.