“Amatevi per dare agli altri la possibilità di amarvi per quello che realmente siete. Nella vita tutto è possibile, pretendete di essere voi stessi ma di farlo con dignità e con sensibilità. E’ qualcosa a cui nessuno di noi dovrebbe mai rinunciare: la dignità”. E’ il messaggio dell’attrice Vittoria Schisano in occasione del Transgender day of Remembrance. Celebrato il 20 novembre di ogni anno dal 1999, il TDoR è un giorno dedicato alla commemorazione delle persone trans uccise per via dell’odio transfobico.
Classe 1983, Giuseppe Schisano è diventata Vittoria solo nel 2015, quando ha terminato il suo periodo di transizione da uomo a donna. Reduce dal successo di Ballando con le Stelle in cui ha raccontato la sua storia e riportato la sua testimonianza, Vittoria ha ricordato attraverso Il Riformista il peso di questa giornata.
Perché è importante celebrare il Transgender Day of Remembrance?
Anche se un solo giorno non basta, è necessario di ricordare e parlare il più possibile di queste vittime, perché la normalizzazione passa attraverso la conoscenza di ciò che ancora oggi è ritenuto diverso. Il più delle volte l’argomento viene trattato in modo macabro, per fatti di cronaca spesso cruenti, ma ci sono persone che pretendono stima, rispetto e hanno una vita assolutamente normale di cui nessuno parla. Per questo mi batto, perché io stessa quando mi trovavo in questa situazione non mi rispecchiavo in quello che i media mostravano. Sui social sono inondata di messaggi di persone che si trovano ad affrontare quello che ho affrontato io. Tante scelgono il mio nome.
Ti senti all’altezza di questo impegno?
Da una parte mi imbarazza, dall’altra mi riempie di gioia. I genitori mi ringraziano perché attraverso me capiscono i figli. Di due ragazze in particolare mi sento un po’ la sorella maggiore. Il lavoro di un personaggio pubblico non si spegne quando si spengono i riflettori, deve mandare i giusti messaggi e aiutare le persone che restano dietro. Questo è anche il mio modo di ringraziare le persone che mi hanno preceduta, lasciando la mia testimonianza affinché le persone che si trovano e si troveranno ad affrontare un percorso di transizione potranno avere sempre di più la strada spianata nella normalizzazione di questo processo.
Spesso la narrazione delle persone transgender passa attraverso i fatti di cronaca. L’ultimo caso eclatante è stato quello di Ciro e Maria Paola (a Caivano, Napoli, lo scorso settembre, ndr).
Il mio attivismo è nato proprio da lì, con il caso terribile di Ciro e Maria Paola. È successo in concomitanza con le prove di Ballando con le stelle. È impensabile che ancora oggi, nel 2020, una ragazza a 18 anni perda la vita avendo come colpa l’amore. In questo, la scuola dovrebbe avere il ruolo fondamentale di educare i propri alunni ad essere i cittadini del domani. Ancor di più mi ha fatto arrabbiare il fatto che a commentare l’accaduto ci fossero persone totalmente impreparate. Se un giornalista si sente in diritto di impasticciare le parole e usare titoli assurdi, è normale che un alunno si sente in dovere di chiamare ‘frocio’ il proprio compagno di banco. Anche con me capita spesso perché fa più notizia scrivere l’attrice transgender piuttosto che solo il mio nome.
A che punto siamo sull’accettazione dei transessuali?
Come si deduce dalla parola stessa, una persona transessuale è una persona in transizione, da un punto ad un altro. Nel momento in cui questo periodo è finito, parliamo di uomini e di donne. Io non ho transitato per una questione sessuale, anche perché gli uomini mi piacevano prima e adesso. Ho semplicemente messo l’equilibrio laddove non c’era, la mia identità fisica si doveva livellare ed equiparare alla mia identità mentale. Ecco perché bisognerebbe parlarne in un contesto come quello scolastico, per eliminare dei tabù che sono anacronistici. Comunque abbiamo fatto sicuramente dei passi avanti.
Per esempio con l’approvazione della Legge Zan contro l’omolesbobitransofbia e la misoginia. Cosa ne pensi? Ce n’era bisogno?
In Italia abbiamo bisogno di leggi. Se un ragazzo vuole chiamare ‘frocio’ il compagno di banco non dovrebbe farlo per educazione, ma se si ha quel tipo di pensiero, la legge serve affinché si possa pensare due volte prima di bullizzare il prossimo.
Quindi è attraverso una legge la persona capisce che deve essere educata a non farlo?
Bella domanda, magari potessi rispondere. In base alla mia sensibilità posso dire che la legge punisce, punto e basta. Mentre l’educazione nasce dalla famiglia e dalla scuola.
Come hai vissuto il periodo di transizione e come l’ha vissuto la tua famiglia
In maniera più amplificata, credo, rispetto a tanti, perché ero un personaggio pubblico anche prima. Le prime persone a cui l’ho detto sono stati i miei amici perché già abitavo a Roma, ma ovviamente ho sentito l’esigenza di parlarne anche con la mia famiglia, che vive a Pomigliano D’Arco. La prima a saperlo è stata mia sorella. I miei genitori sono delle persone molto semplici: mio padre era operaio, mia mamma è una sarta in pensione. Quando ne ho parlato con mio padre, che stava per morire, mi chiese se dopo questa scelta fossi stata felice. Risposi che non lo sapevo, ma che sicuramente sarei stata me stessa. Mi ha appoggiato perché mi vedeva soffrire. Al contrario con mia madre è stata una guerra infinita, è sempre stata vittima del pregiudizio e della cattiva informazione.
A Ballando con le stelle hai raccontando la tua storia un pezzettino alla volta in ogni puntata, lanciando messaggi importanti. Nella giuria però, c’è stata Selvaggia Lucarelli che ti ha fatto notare questa tua ripetizione nel raccontare ogni settimana sempre le stesse cose…
Ha provato a banalizzare il mio percorso invitandomi a chiudere questo “mondo” e ad andare avanti. Pensa ancora che esiste un mondo omosessuale e un mondo eterosessuale. Per me esiste il mondo che è fatto di persone con le loro mille sfumature. In ogni puntata parlavo a milioni di telespettatori, se tra questi ce ne fosse stato anche solo uno interessato al mio percorso, allora era giusto farlo. Ma soprattutto sono stata portavoce di quella che è la mia storia coordinandomi con la produzione e gli autori. Se questa persona fa parte del programma, dovrebbe conoscerle queste dinamiche. Ammetto che tra noi già prima della mia partecipazione a Ballando c’era antipatia. In passato, durante una trasmissione radiofonica, mi chiese il documento d’identità e fece illazioni sul mio percorso di transizione affermando di avere fonti che mettevano in dubbio la mia operazione. Ha chiamato la struttura a Barcellona dove ho subito l’intervento. Almeno a Ballando avrebbe potuto astenersi dai propri giudizi personali e darmi un voto solo in base alle performance.
Lei in realtà batteva sulla ripetitività del racconto.
Era lei che voleva vedere che io fossi ripetitiva, perché ho parlato delle mille sfumature che riguardano me e la mia storia. Sono napoletana, sono una donna del popolo. Parlo in modo semplice e ritengo importante il lavoro che sto facendo. Per me sarebbe più facile parlare di quanto sono figa, di quanto sono brava a ballare e dei miei progetti futuri invece di mettermi a nudo e ripercorrere ogni volta degli episodi del mio passato. Ma questo significherebbe fregarmene degli altri. Credo sinceramente che quella persona, così come altre nella giuria, dovevano alzarsi e battermi le mani piuttosto che venirmi contro. L’unica nota stonata di quel programma è proprio la giuria, tranne qualcuno. Per il resto è stata un’esperienza meravigliosa.
Perché è stata così importante?
Quando ho iniziato questo percorso anni fa, non ne avrei parlato così apertamente. Non ero pronta. Oggi invece ho piena consapevolezza di chi sono e ritengo indispensabile fare dei passi indietro, raccontare il passato, per poi andare avanti in modo più cosciente e consapevole. E a chi si sentiva come me dico: se vi cacciano di casa, se vi chiamano frocio, se non trovate un lavoro, andate comunque avanti, ricordate che ce la potete fare.