L'appello
Vittorio Cecchi Gori è stato condannato a morte
Non basta il coronavirus, ci si mette anche la magistratura, a cercare di sterminare gli anziani. Prendiamo il caso di Vittorio Cecchi Gori: che cosa è se non pena di morte, sbattere (pardon, “tradurre”, è più fine) in galera (pardon, istituto di pena) una persona di 78 anni già in pessime condizioni di salute? Il famoso produttore cinematografico ha avuto la “fortuna” di essere ricoverato per controlli in seguito a un malore al Policlinico di Roma, quando, alle 19,57 di giovedi scorso la corte di cassazione emetteva nei suoi confronti la conferma di condanna per bancarotta fraudolenta. La procura generale aveva immediatamente applicato il cumulo con una precedente condanna e il conto era presto fatto: 8 anni, 5 mesi e 26 giorni. Cecchi Gori potrà uscire dal carcere quando avrà 86 anni abbondanti. È stato condannato per fatti di diciannove anni fa, ma di che stupirsi? Si sa che la giustizia è lenta, giusto? Invece no.
Infatti, subito dopo la sentenza, con precisione svizzera, nella stessa serata, viene emesso nei suoi confronti l’ordine di carcerazione. Le manette erano pronte, senza neanche dare il tempo al suo avvocato, vista l’età e viste le condizioni di salute del condannato, di avanzare richiesta di detenzione domiciliare. Ma lui ha la “fortuna” di essere in ospedale perché sta male, ha avuto un’ischemia e poi un attacco di peritonite, inoltre è cardiopatico e non cammina se non si appoggia ad altri e procede lentamente, proprio come un “vecchietto”. Quindi per ora non è in prigione, ma intanto è piantonato, perché potrebbe pur sempre darsi alla fuga, ovviamente. I giudici gli stanno con gli occhi addosso e, se appena appena lui ce la farà, anche in barella dovrà andare a Rebibbia. A farsi rieducare, come dice la Costituzione. Così poi, quando tornerà a casa e sarà quasi un novantenne, avrà imparato a comportarsi meglio.
Viene alla memoria quanto accaduto non più tardi di due anni fa, nell’autunno del 2018, allo psicanalista Armando Verdiglione, che allora aveva 74 anni, condannato per una controversa evasione fiscale, cui non fu consentito di presentare richiesta di arresti domiciliari perché, gli fu detto, “prima” doveva andare in galera, e “poi” presentare la domandina. Che comunque gli fu poi respinta, insieme al trasferimento dal carcere di Bollate (regime di bassa sorveglianza) a quello di Opera, in genere riservato ai condannati per i reati più gravi e per detenuti in regime di 41 bis. In poche settimane Verdiglione perse 24 chili di peso, il suo corpo arrivò quasi al limite oltre al quale gli organi vitali cominciano a non funzionare più, ed era una larva umana quando finalmente tornò a casa, dove continua a essere in regime di detenzione domiciliare. Non è chiaro, anche a voler entrare nella testa del più severo e rigoroso giustiziere, che cosa ci si aspetti possa fare di buono una prigione per una persona che è giunta agli ultimi anni della propria vita, come Vittorio Cecchi Gori.
Si dice spesso che persino in certe case di riposo la persona molto anziana e malata, dopo esser stata lì parcheggiata, non può far altro che lasciarsi rapidamente morire. Di abbandono e di solitudine. Il carcere è qualcosa di più, è trauma e violenza, come traumatica e violenta può essere solo la privazione della libertà. Ogni carcerazione di una persona vecchia e malata è una pena di morte, che non riguarda solo Cecchi Gori o Verdiglione. Di loro si ha notizia soprattutto perché sono famosi. Per il produttore si è mossa una piccola porzione del mondo del cinema, dal regista Marco Risi a Christian De Sica fino a Lino Banfi. Proprio a quest’ultimo vogliamo rivolgerci, perché ci ha appassionato, nel corso di tanti anni, la saggezza di Nonno Libero, il generoso ferroviere comunista che conosceva la vita e si prodigava per gli altri.
Ci piace pensare che lui sia così anche lontano dai teleschermi. Facciamo qualcosa insieme perché Cecchi Gori possa scontare la sua pena in un carcere casalingo ( perché è sempre privazione della libertà, ricordiamolo), per ora. Ma dopo, non dimentichiamo che, da San Vittore a Rebibbia e in tutte le carceri italiani, ci sono decine, forse centinaia di persone molto anziane e molto malate private della libertà, che non possono far altro che morire. Se siamo, come siamo, contro la pena di morte, facciamo sì che possano tornare a casa, tutti.
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