Vittorio Emanuele Parsi fortunatamente sembra aver superato il bruttissimo momento vissuto il 27 dicembre a Cortina. Il professore salito sul palco per la presentazione del suo ultimo libro aveva accusato un forte dolere al petto. Ricoverato d’urgenza e trasportato in sala operatoria versava in condizioni gravi eppure fortunatamente adesso il peggio sembra essere passato. In una lunga intervista racconta la terribile esperienza.

Parsi dice di stare meglio e di essere a Roma insieme a Tiziana Panella, la sua compagna: “Sto molto meglio rispetto all’ospedale. Ma sono molto stanco. Però se penso a quindici giorni fa: solo scendere dal letto mi chiedeva una tale forza di volontà. Ho sentito tre colpi sul diaframma, come fossi in apnea. Da sommozzatore sai che quando li senti devi riemergere, è l’ultimo avvertimento. Ho capito che c’era qualcosa di grave. Finita la conferenza, ho chiesto che si chiamasse un medico. È arrivata l’ambulanza, siamo andati all’ospedale “Codivilla””.

Il trasporto in ospedale a Belluno: dissezione dell’aorta

“La cosa ha preso tutta la notte, fino al mattino. La struttura decisamente non era attrezzata. Io stesso, dopo i primi esami negativi, stavo per dire: “vi saluto, devo partire per le vacanze”. Avevo un aereo il giorno dopo: sarei morto. Invece sono stato portato a Belluno in ambulanza, e lì ho avuto la fortuna di trovare il primario di Cardiologia, Alessandro de Leo che ha subito capito che la mia era una dissezione dell’aorta” ha dichiarato Parsi.

Le due chiamate prima dell’operazione “che sarebbe potuta andare male”

“Mi ha detto due cose, che ricorderò sempre. La prima: dobbiamo farle un’operazione salvavita. La seconda: può andare male. Ho potuto fare due telefonate a mia figlia maggiore e a Tiziana Panella, con cui sto da due anni, cercando di rassicurarla, mentre lei cercava di rassicurare me. Mi hanno portato con l’elicottero a Treviso, dove ho trovato chirurghi di eccellenza, come Francesco Battaglia, Antonio Pantaleo e Giuseppe Minniti”.

Durante il coma “ho visto le radice degli alberi da sotto e un fiume melmoso come Ulisse e Achille”

“Ricordo tutto il periodo in coma. Uno Stige, un fiume melmoso, nero, che stava sotto i miei piedi, come Ulisse e Achille. Ricordo di avere visto le radici degli alberi da sotto, come fossi in un crepaccio. E di tanto in tanto, voci lontane”. Non ho sentito dolore ma stanchezza fisica, una immensa spossatezza. A un certo punto mi sono chiesto se fossi morto. Ho pensato: non ce la faccio, forse basta lasciarsi andare e tutto passerà. La morte non potrà essere tanto peggio”.

Poi ho pensato alle mie figlie e a Tiziana. Ho visto il suo volto, volevo rivederlo. È chiaro che non volevo lasciare sole neanche le mie figlie, ma in qualche modo prima o poi i figli li lascerai. Ho parlato con mia madre e con mio padre, che non ci sono più: “Datemi una mano voi, non è il momento di raggiungervi”. È stato allora che ho materializzato nella mente quegli omini di gomma che vendevano nei ruggenti anni ‘70 e ‘80, che si lanciavano sul vetro e si appiccicavano e salivano e scendevano… Ecco, ho visto me stesso un po’ come uno di quegli omini, a risalire l’immenso crepaccio, con tutta la fatica del mondo. E quando poi sono arrivato in cima ho aperto gli occhi. E ho visto Tiziana che era lì con me”

L’esperienza di premorte di Vittorio Emanuele Parsi

Riferendosi al fiume melmoso visto durante il periodo di coma, Vittorio Emanuele Parsi ha detto: “Penso fosse l’Ade. Il fiume in cui stanno le anime morte. Non ho visto nessuna luce, nessuna speranza che non fosse quella di lottare per vivere. Forse quando si muore la sensazione è quella di un abbraccio. La morte la viviamo come spaventosa, io non ne ho mai avuto grande simpatia, non nutro aspettative su quello che verrà dopo. Però la cosa che mi ha sorpreso è che non provavo paura”.

Redazione

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