È il 49esimo suicidio in carcere dall’inizio dell’anno, il 3 in Campania in pochi giorni
Voleva avvicinarsi alla famiglia ma lo hanno allontanato di più: così si è tolto la vita in carcere a 33 anni
Aveva solo 33 anni Dardou Garrdon, di origine algerina, detenuto nel carcere di Secondigliano di Napoli. La sua è l’ennesima storia di disperazione e marginalità che lo hanno portato a compiere il gesto estremo. Dardou nel pomeriggio del 9 agosto ha stretto il lenzuolo intorno al collo e si è lasciato cadere mentre era nella sua cella. Inutili sono stati i soccorsi da parte del compagno di cella che si è presto accorto di quello che stava succedendo e ha sciolto il nodo del lenzuolo attorno al suo collo. Inutile il pronto intervento degli agenti che hanno tentato di salvargli la vita. Inutili sono stati i soccorsi del 118 arrivati a stretto giro. Per Dardou non c’era già più niente da fare. Poche ore prima, nel carcere di Poggioreale, a pochi chilometri da Secondigliano, un altro detenuto si è tolto la vita: si chiamava Francesco Iovine, aveva 43 anni e soffriva di anoressia. Sono 5 i detenuti che si sono tolti la vita in carcere dall’inizio dell’anno in Campania, 3 nel giro di pochi giorni ad agosto, 49 in tutta Italia. Una strage silenziosa e agghiacciante. Un agosto tremendo che è lo specchio della disumanità delle carceri e del totale fallimento del suo scopo rieducativo.
Dardou il 7 agosto ha compiuto 33 anni. Era stato arrestato a Milano il 7 agosto 2018. Il 5 agosto 2023 sarebbe terminata la sua pena. A dare notizia di questo ennesimo suicidio in carcere il garante dei detenuti della Campania Samuele Ciambriello e il garante dei detenuti di Napoli Pietro Ioia, che subito sono corsi a Secondigliano. Dardou aveva origini algerine e la sua famiglia viveva a Marsiglia. Aveva anche una figlia probabilmente una bambina vista la giovane età del padre. Ha girato tante carceri per poi arrivare a quello di Benevento. Se ne stava sempre solo e in disparte. Parlava poco e male l’italiano, non faceva colloqui con la famiglia che era troppo lontana e per loro era impossibile venire in Italia per vederlo. Dal suo ingresso in carcere non aveva avuto mai colloqui e non aveva nemmeno notizie della figlia. Un uomo solo al mondo rinchiuso in una gabbia in cui era ancora più solo. L’inferno in terra.
Il garante Ciambriello racconta che dal carcere di Benevento aveva più volte chiesto il trasferimento in un altro carcere della Liguria o del Piemonte per potersi avvicinare alla famiglia che con un treno avrebbe potuto raggiungerlo più agevolmente. Già in passato aveva tentato il suicidio per ben 3 volte nel giro di pochi giorni. Il 5 maggio scorso Ciambriello aveva scritto a Carlo Renoldi, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, e a Gianfranco De Gesu, Direttore Ufficio Detenuti e Trattamento Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria per segnalare la grande sofferenza del 33enne con cui era spesso in contatto. Durante l’ultimo tentativo di suicidio Ciambriello aveva parlato al telefono con Dardou, lo aveva calmato. Ma pochi giorni dopo lui aveva minacciato di buttarsi da un piano alto dell’Istituto.
“Mi sono confrontato con il Direttore del carcere di Benevento, che è favorevole a tale trasferimento – scriveva Ciambriello nella lettera – anche perché si tratta di un detenuto con fine pena il 5 agosto 2023. Vi chiedo di considerare, quanto prima possibile, tale richiesta”. La risposta arrivava il 18 maggio fredda e netta: “In data 6 maggio il competente Ufficio di questa Direzione Generale ha invitato la Direzione della Casa Circondariale di Benevento a comunicare al detenuto il mancato accoglimento delle sue istanze di trasferimento per mancanza di motivazioni”. Gli comunicavano anche la novità: il 7 maggio si sarebbe dovuto trasferire nel carcere di Secondigliano “per esigenze di istituto”. Dunque Dardou che voleva essere avvicinato a casa si è ritrovato in un blindato che invece lo portava ancora più lontano. Chissà con quanta disperazione deve aver appreso la notizia. Tutto questo per scontare una pena di appena 5 anni.
Pietro Ioia racconta che il detenuto era ben seguito a Secondigliano perché non stava bene. “Lo avevano messo nella sezione migliore dell’Istituto, quella con le celle aperte proprio perché così stesse meglio. Il 2 agosto aveva avuto la sua ultima visita psichiatrica. Ma la sua sofferenza ha prevalso. Questa è una sconfitta per tutti. Un omicidio istituzionale”.
“Noi più che garanti siamo diventati becchini – dicono Ioia e Ciambriello – Ormai corriamo in carcere più per i morti che per i vivi. In pochi giorni già 3 suicidi. Non dovrebbe succedere in un paese civile. Chiediamo che il capo del Dap e la Ministra Cartabia vengano qui nelle nostre carceri della Campania. Questa è un’emergenza nazionale”. “Quella di Dardou è una storia di disperazione – continua Ciambriello – Il carcere è come una condanna a morte per chi è completamente solo o ha partenti lontani. Lo Stato in ogni caso dovrebbe evitare che succeda che qualcuno decide di morire. È come un omicidio questo”.
“La cosa più inquietante è che già quando uno entra in carcere diventa un numero – conclude Ciambriello – Quando muore scompare completamente dagli archivi. Non solo in carcere le persone diventano un numero ma poi scompaiono pure”. È questa l’ “umanità” del carcere che non tutela i diritti di persone, esseri umani, che sono di carne, ossa e anima.
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