Bene? Non sapremmo. Brava? Dipende. Bis, comunque. Ursula von der Leyen è stata rieletta presidente della Commissione Europea, confermando la guida tedesca e lo scettro dei Popolari, gruppo uscito vincitore dalle europee di giugno. L’ex pupilla di Angela Merkel ha l’Europa nel sangue: è tedesca ma nata a Bruxelles. Ed è lì che siederà ancora per cinque anni, insediando la futura Commissione sulla base dei negoziati che sta finalizzando con i governi. I 401 voti che ha ricevuto corrispondono alla sommatoria esatta dei votanti popolari, socialisti e liberali.
Giorgia non varca il Rubicone
Ma la corrispondenza non deve trarre in inganno: potrebbero essere usciti dai franchi tiratori almeno venticinque voti, se è vero che in ordine sparso alcuni eurodeputati verdi (e non si esclude qualuno di Ecr) l’ha votata. Nel segreto dell’urna può esserci stato quel flusso di scambio. Una certezza riguarda il voto degli italiani: Fratelli d’Italia ha votato contro Ursula von der Leyen. Giorgia Meloni non ha varcato il Rubicone. Non ha preso la più coraggiosa delle decisioni possibili. Rimane così nella sua confort zone. E lo rivendica, a scanso di equivoci, garantendo che non sono da temere contraccolpi sulla trattativa per il commissario (o i due commissari) che ha chiesto: «Non ho ragione di ritenere che la nostra scelta possa in alcun modo compromettere il ruolo che verrà riconosciuto all’Italia nella Commissione europea. L’Italia è un paese fondatore, la seconda manifattura, la terza economia d’Europa con uno dei governi più solidi tra le grandi democrazie europee.Ed è sulla base di questo, e solo di questo, che si definisce il ruolo italiano», rassicurava ieri sera la premier in un video.
Il passo falso
Il no al mandato-bis deriva, spiega Meloni, da valutazioni precise: «Siamo rimasti coerenti con la posizione espressa nel Consiglio europeo di non condivisione del metodo e del merito». Il discorso con cui von der Leyen si è presentata ieri mattina all’Europarlamento occhieggiava più a sinistra che a destra, è fuor di dubbio. Ma la decisione di votare contro Ursula, checché ne dica oggi Giorgia Meloni, è stata meditata a lungo. Quel «Tutto è possibile», machiavellicamente anteposto dal capogruppo Ecr, Nicola Procaccini, aveva dato adito a ipotesi di ogni tipo. Ed è facile pensare che i dubbi si fossero insinuati sin dentro via della Scrofa: non a caso le telefonate tra Meloni e Schlein si sono andate moltiplicando, in questi ultimi giorni. Per le opposizioni, votare contro von der Leyen è stato un passo falso. Elly Schlein attacca: «Le destre si sono divise su questo voto, ma soprattutto quello che abbiamo visto è la totale irrilevanza di questo governo in Europa». «Giorgia Meloni – ha aggiunto Schlein – in Europa si è sempre scelta gli alleati sbagliati. Questo sta isolando il nostro paese. Nel voto di oggi ha dimostrato ancora una volta di anteporre gli interessi del suo partito a quelli del paese». Stessa conclusione per Giuseppe Conte, che però è in contraddizione, avendo dato indicazione di voto esattamente come quella data da Meloni, a cui rimpovera di «Relegare l’Italia in panchina, all’ininfluenza ed è gravissimo che un presidente del consiglio non abbia saputo interpretare il suo ruolo in un passaggio così fondamentale». Se chiediamo un parere di chi sostiene Meloni, troviamo ragionamenti di ampia condivisione della decisione assunta dalla premier. «Hanno fatto bene i conservatori a votare contro.
Le analisi
Sebbene da un punto di vista formale avesse i numeri per essere rieletta con la maggioranza Ppe, socialisti, Renew, il dato politico emerso dalle europee è stato la crescita dei partiti di destra. Nonostante ciò von der Leyen ha preferito trovare un accordo con i verdi impegnandosi a ‘mantenere il Green Deal’ e nel suo programma manca la discontinuità dalla scorsa legislatura», spiega Francesco Giubilei, direttore scientifico della Fondazione Alleanza Nazionale. L’economista Fabio Verna, di area meloniana, non nasconde un certo travaglio: «Sicuramente per Giorgia Meloni è stata una scelta difficile dato anche il dialogo di stima e collaborazione con von der Leyen. Ma ha fatto bene a far votare gli europarlamentari in linea con il gruppo Ecr». Luigi Di Gregorio, politologo e spin doctor, concorda: «Giorgia Meloni è rimasta fedele ai suoi principi, alla sua idea di democrazia, che non prevede larghe intese e si basa su un confronto continuo tra destra e sinistra, come forze alternative di governo. Non sarebbe mai entrata in una coalizione con socialisti e verdi, i quali peraltro avevano posto un veto contro ECR, e contro Meloni nello specifico». L’analisi di Di Gregorio, docente di comunicazione politica, guarda avanti: «Questo non significa che l’Italia sarà ininfluente in Europa. Lo si è già dimostrato in questo ultimo anno e mezzo a guida von der Layen, senza ECR in maggioranza, ma con un’agenda che su diversi temi ha virato più a destra. In prospettiva, con i governi di Francia, Germania e Spagna sicuramente meno saldi del nostro, il peso del governo italiano potrebbe addirittura crescere ulteriormente». Stesso avviso per Lucrezia Maria Benedetta Mantovani, deputato di Fratelli d’Italia e capogruppo in Commissione Politiche dell’Ue: «Il voto contrario di Fratelli d’Italia a Ursula von der Leyen e al programma che ha esposto è la fisiologica conseguenza della linea politica impressa da Meloni che intende promuovere una visione diversa e nuova dell’Europa». Dello stesso avviso il compagno di partito, senatore Marco Scurria: «Fratelli d’Italia ha fatto bene a votare non a favore, non potevamo esprimerci insieme a partiti che hanno una visione diversa dalla nostra, tra l’altro usciti sconfitti dalle ultime elezioni europee». L’occasione con la storia è rimandata, Meloni preferisce blindarsi nei confini abituali. La svolta sarà per un’altra volta.