Altro non è che la cattiva sorte, quella che insegue, per certi versi, bracca Ursula von der Leyen. Il suo secondo mandato è nato sotto l’influenza di una cattiva stella: difficile sterzare in cerca del sereno, le previsioni sono ferme sulla burrasca. Prima lo scontro interno nel Ppe sulla designazione con il capogruppo Manfred Weber, poi i distinguo con i socialisti che temevano che si fosse spostata troppo a destra. A seguire il rischio di disporre di una maggioranza risicata durante la seduta del Parlamento europeo chiamato a esprimersi sulla sua riconferma. Per non farsi mancare nulla anche l’improvviso e plateale “no” di Giorgia Meloni e dei conservatori.

E non era finita, perché le trattative sulla Commissione hanno riservato altre sorprese. La più eclatante, ieri mattina: la lettera di dimissioni consegnata su X dal commissario uscente del mercato interno, il francese Thierry Breton. “La presidente ha chiesto alla Francia di ritirare il mio nome, per motivi personali che in nessun caso hai discusso direttamente con me, e ha offerto, come compromesso politico, un portafoglio presumibilmente più influente per la Francia nel futuro Collegio”. Il commissario pagherebbe 5 anni di screzi con la sua presidente che, avendo di nuovo il “coltello” dalla parte del manico, si sarebbe liberata di lui. Crisi risolta in poche ore dall’Eliseo che ha indicato Stéphane Séjourné (ex ministro degli Esteri nel governo Attal ed ex capogruppo di Renew Europe al Parlamento europeo) come sostituto di Breton. La Francia ora rivendica “un portafoglio chiave, incentrato sui temi della sovranità industriale e tecnologica e della competitività europea”.

Via Breton, si aprono le forche caudine: oggi 26 commissari

Per Ursula comunque ora si aprono le forche caudine, tanto che la presentazione dei 26 commissari con le rispettive deleghe ai capigruppo dell’Eurocamera – già rinviata la settimana scorsa – è confermata per oggi, salvo imprevisti dell’ultima ora, spiegano da Palazzo Berlaymont. Avrà conseguenze il caso Breton? “Il rischio che si riapra tutto esiste e come”, dicono ad esempio da Fratelli d’Italia, insospettiti dalla querelle francese, che potrebbe costare a Fitto il portafoglio dell’Economia. Non particolarmente confortanti le dichiarazioni dei socialisti e democratici: “Non abbiamo firmato un assegno in bianco alla presidente. Per noi, è chiaro che tutti i candidati dovranno dimostrare il loro impegno sui i valori europei”.

Le audizioni trappola

Già, perché dopo la presentazione della squadra, i commissari dovranno passare dagli esami di verifica del Parlamento europeo: le “terribili” audizioni (che nel 2004 costarono il posto a Rocco Buttiglione), previste tra il 14-18 ottobre (con voto dell’Aula a fine novembre). Una trappola che potrebbe scattare per Raffaele Fitto, il commissario scelto per rappresentare l’Italia (con delega alla Coesione, secondo i boatos della vigilia). L’ex ministro è un volto conosciuto a Bruxelles e generalmente apprezzato, ma rischia di essere la vittima sacrificale al posto di Giorgia Meloni. I verdi gli daranno filo da torcere; ancora sospesa la posizione dei socialisti, che sono tentati dal “colpo grosso”: disarcionare la leader di Fratelli d’Italia. Che ieri ha incassato nuove frecce al suo arco: l’incontro a Villa Doria Pamphilj con il primo ministro britannico, il laburista Keir Starmer. Un confronto positivo. “Siamo anche d’accordo sul fatto che non bisogna avere timore ad esplorare soluzioni nuove”, ha commentato Giorgia Meloni, con chiaro riferimento al protocollo Italia-Albania.

L’apertura ai Conservatori e le minacce interne

Palazzo Chigi aspetta con trepidazione la presentazione della nuova Commissione per ricevere la conferma della vicepresidenza esecutiva per Fitto, che sarebbe il ritorno in campo in Europa a pieno titolo per la leader dei conservatori, che a luglio si espresse contro la riconferma della presidente tedesca. A Bruxelles socialisti e liberali continuano a “minacciare” Ursula. “Portare proattivamente Ecr nel cuore della Commissione significherebbe perdere il sostegno dei progressisti”, mette in chiaro la capogruppo di S&D Iratxe García Pérez. Ursula non ha intenzione di cambiare idea e quindi la vicepresidenza dovrebbe finire all’Italia, come assicura anche il capogruppo Ppe Manfred Weber.

Il rischio vero è che scoppi una guerra tribale: se i socialisti e i liberali proveranno a far saltare Fitto, il Ppe si vendicherebbe con la spagnola Teresa Ribera. Naturalmente, la conseguenza potrebbe essere quella di far slittare tutto al prossimo anno. In pratica la “maledizione” di Ursula.