Poi l’ha buttata in caciara, accusando il “virus straniero” e chiudendo il traffico aereo con l’Europa (ma non con il Regno Unito), come se l’epidemia avesse confini o si muovesse per ordine di qualche stato. Inoltre Trump, con grande fastidio, ha rifiutato di sottoporsi ai controlli sanitari nonostante il sospetto di contagio per aver partecipato a riunioni con interlocutori – come il presidente brasiliano Bolsonaro e il suo staff e alcuni deputati americani - che oggi risultano positivi al Coronavirus. Dal canto suo, sempre in tema di epidemia, Boris Johnson ha indirizzato ai suoi concittadini un annuncio choc: «abituatevi a perdere i vostri cari», ha detto, lasciando intendere che, al di là di alcune precauzioni necessarie (come quella di lavare le mani), la vita nel paese continuerà uguale a prima. Sir Patrick Vallance, esperto sanitario del governo guidato da Johnson, ha avvertito su Sky News che «il 60% dei britannici dovrà contrarre il Covid19 per sviluppare l’immunità di gregge». Dichiarazioni che hanno ovviamente scatenato una valanga di perplessità e di critiche: la strategia sembra un vero e proprio azzardo perché mette a rischio centinaia di migliaia di persone. Davvero si può parlare di una vera e propria Brexit sanitaria, dopo quella politica e istituzionale. In queste ore, infatti, nei paesi europei, man mano che la consapevolezza della minaccia pandemica cresce, si adottano misure di contenimento sempre più drastiche. La Danimarca va verso un lockdown appena più leggero rispetto a quello dell’Italia. In Spagna le scuole sono già chiuse da giorni (e per due settimane anche il Parlamento). Polonia e Irlanda hanno annunciato la chiusura delle scuole e, dopo il discorso di Macron, farà lo stesso la Francia. E così, mentre gli Usa ci voltano le spalle (e in Italia arrivano nove medici specializzati dalla Cina), l’Europa va ancora un po’ in ordine sparso. Ecco perché per l’Ue, l’iniziativa di ieri della von der Leyen potrebbe diventare finalmente l’inizio della resilienza e del cambiamento.