Una provocazione, un ossimoro, un controsenso. Sull’utilizzo dei termini si può discutere e si può lasciare spazio alle singole preferenze, ma su un punto è necessario mostrare fermezza e ribadire un concetto sacrosanto: nel Giorno della Memoria non si può pensare in alcun modo di infangare il ricordo delle vittime dell’Olocausto. Fa rabbrividire l’idea di lasciare scorrazzare lungo le strade manifestanti che si dichiarano pro-Palestina ma che magari, tra un coro e l’altro, potrebbero pronunciare slogan antisemiti e veicolare concetti a sostegno della causa di Hamas. A parlarne con Il Riformista è stato Walker Meghnagi, presidente della Comunità ebraica di Milano, che ha lanciato un monito duro: guai a far marciare persone e associazioni che vogliono un genocidio di ebrei. Meghnagi non ha risparmiato stoccate al sindaco di Milano Giuseppe Sala (da cui si aspettava maggiore solidarietà) e al presidente del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte (accusato di agire nell’ottica demagogica). Il tutto mentre continuano ad arrivare segnali preoccupanti in un’Europa in cui l’antisemitismo rialza la testa.

La manifestazione pro-Palestina nel Giorno della Memoria è vista da molti come un ossimoro, a partire da lei che ha chiesto di porre il divieto all’evento. Cosa risponde a chi la sta accusando di voler impedire un sacrosanto diritto?

«La libertà di espressione non è senza limiti. Non si può invocarla per propagandare l’odio, per fare apologia di reato, per diffamare e insultare, per fare propaganda razzista. Ma questi sono contenuti largamente presenti in tali manifestazioni. Sono posizioni deplorevoli sempre, inaccettabili e provocatorie nella giornata della memoria. Ha fatto bene il Ministro degli Interni Piantedosi a consigliare ai prefetti di vietarle».

E in effetti spesso dietro la faccia dei cortei a favore della Palestina si nascondono istinti che mirano a debellare Israele. E c’è chi non si fa timori nel mostrare simboli che ritraggono una mappa senza Israele…

«Bisogna capire che una mappa del Medio Oriente senza Israele implica il progetto di un nuovo genocidio, la strage di tutti gli israeliani ebrei. Sta scritto nello statuto di Hamas e l’ha appena dichiarato di nuovo Bassem Na’im, membro dell’ufficio politico di Hamas: l’attacco del 7 ottobre è stato un “modello in scala ridotta della guerra finale di liberazione e della scomparsa dell’occupazione sionista (=Israele)”».

Giuseppe Sala ha fatto sapere di voler lasciare la decisione al prefetto. Dal sindaco di Milano si aspettava una presa di posizione più netta e intransigente? Anche perché questo fa il paio con la sua assenza a novembre del 2023 in Sinagoga in occasione della cerimonia per commemorare le vittime dell’attacco di Hamas…

«La comunità ebraica di Milano ha un grande attaccamento per la sua città. Ne è parte integrante ed ha rapporti positivi con quasi tutte le forze politiche e sociali. Purtroppo in questi mesi non abbiamo avuto dall’amministrazione comunale tutta la comprensione e la solidarietà che ci aspettavamo. Tra l’altro proprio a Milano sui muri del Memoriale della Shoah sono apparse le scritte “W Hitler” e “Fuck Israele”. Tutto questo è vergognoso, inconcepibile».

Che giudizio dà al governo Meloni? Auspica una linea ancora più marcata o la postura internazionale la soddisfa?

«Giorgia Meloni ha fatto delle dichiarazioni giuste e coraggiose sul 7 ottobre e sulle sue conseguenze. Nelle sedi internazionali l’Italia guidata dall’attuale governo si è mossa quasi sempre in maniera apprezzabile. L’Italia è oggi in Europa fra i migliori amici di Israele. Si può fare di più, per esempio comprendere che la cosiddetta soluzione dei due stati oggi non è un modo per concludere il conflitto, ma un grave rischio per il futuro».

Le posizioni del Movimento 5 Stelle nei confronti della crisi in Medio Oriente non sono certamente gradite dalla comunità ebraica. Se l’aspettava da Giuseppe Conte?

«I 5 stelle, a partire delle posizioni espresse a suo tempo da Grillo, Di Battista e altri, sono sempre stati anti-israeliani. Conte non fa eccezione. Per demagogia, per ideologia, per calcolo elettorale Conte cerca di nuocere più che può all’amicizia italiana per Israele».

Svastiche sui muri, bandiere israeliane bruciate, pietre d’inciampo vandalizzate: l’antisemitismo è tornato ad alzare la testa in Europa. Allo stato attuale qual è il livello di allerta in Italia?

«Siamo preoccupati. La gran parte degli italiani non è antisemita né nemica degli ebrei. Le forze dell’ordine difendono in maniera efficace le istituzioni ebraiche e le persone e gliene siamo molto grati. Ma conserviamo il ricordo dei sanguinosi attentati antisemiti da parte dei terroristi palestinesi di qualche decennio fa. Oggi la base del terrorismo in Italia si è purtroppo ampliata con l’immigrazione e ci sono anche estremisti soprattutto a sinistra, disposti ad appoggiarlo. Certe espressioni di antisionismo e antisemitismo (che poi sono stesso la stessa cosa) potrebbero fornire pretesto a crimini anche gravi. Bisogna essere vigilanti».

Quale effetto le ha fatto assistere alle polemiche, a pochissimi giorni dalla strage di Hamas, su alcune amministrazioni che hanno frenato sull’esporre solamente la bandiera di Israele e – magari per imbarazzo – l’hanno così affiancata a quella della pace?

«L’impressione è stata penosa. La politica deve saper distinguere aggressore e aggredito e saper dare solidarietà alle vittime degli attacchi criminali. Il 7 ottobre è stato un crimine di dimensione inaudita da decenni: la maggior strage politica, il più vasto femminicidio, il più grande stupro di massa, il più numeroso sequestro di persona di cui abbiamo memoria. Come si fa a non condannare? A porsi a metà strada fra le vittime e gli assassini? Rifiutarsi di esporre la bandiera di Israele voleva dire questo rifiuto di prendere parte; accostarle la bandiera della pace era introdurre una condizione insensata, dire “sì, vi hanno ucciso, rapito e violentato; siamo con voi solo se non vi difendete”. Chi ha agito così l’ha fatto per ignoranza, per complicità o per ipocrisia. Non so che cosa sia peggio».

Tra pochi mesi l’Europa sarà chiamata al voto e a novembre si terranno le presidenziali Usa: teme che l’asse pro-Israele possa cedere?

«No, non credo. Ci sono ragioni profonde per il legame fra Occidente e Israele, che dovrebbero andare molto al di là delle dinamiche elettorali. Noi vogliamo una solidarietà “bipartisan”, che vada cioè al di là delle contrapposizioni partitiche».