Enrico Cisnetto, giornalista, economista, instancabile animatore di incontri e dibattiti – dai teatri romani a Cortina InConTra, sulle Dolomiti – ha celebrato ieri i cinque anni della sua War Room. La trasmissione web – ritrasmessa da un network di radio, testate, emittenti – con cui dà voce a una riflessione politico-economica sempre densa di spunti originali.

Cinque anni di War Room, che spazio è quello che hai messo in piedi?
«Siamo stati costretti dal Covid a rendere digitale, da remoto, quel ciclo di incontri che avevamo lanciato con Cortina Incontra già dieci anni fa».

E avete chiamato il vostro spazio come quello di Winston Churchill…
«Sì, War Room si richiama al Gabinetto di guerra di Churchill e ahinoi siamo stati profetici, perché di lì a poco è arrivata la guerra nel cuore dell’Europa e nel Mediterraneo. Ma il nostro è uno spazio di riflessione, ragionamento, approfondimento che si tiene lontano dai toni accesi. Perché di quelli ce ne sono anche troppi. Vogliamo essere un antidoto alle forzature mediatiche, ai social, ai talk show: non vogliamo accettare che la complessità diventi sempre semplificazione».

Avete dato voce a posizioni liberali, un compito non facile…
«Io provengo dall’esperienza del Pri di Ugo La Malfa, poi ho fatto nascere un piccolo movimento d’opinione, Società Aperta. E dato vita a una newsletter, Terza Repubblica. Tutto nel tentativo di mettere in moto uno stimolo, uno schema mentale capace di andare oltre alla gabbia del bipolarismo».

Una gabbia da cui è difficile evadere.
«Sì, una gabbia che costringe ad alleanze forzose fatte per vincere le elezioni, polarizzando il dibattito. Segnalo che il bipolarismo si afferma mentre sempre più elettori fuggono dalle urne. Tendenza che indica come pochi si appassionino davvero alla logica dei due poli».

Servirebbe una diversa legge elettorale?
«Certamente se si tornasse a votare con un sistema proporzionale l’elettorato si rispecchierebbe di più. La stabilità? C’è il sistema tedesco, proporzionale con sbarramento. La governabilità? C’è il sistema francese, con doppio turno. Si scelga tra sistema tedesco e francese e si torneranno a vedere le file degli elettori ai seggi. Oggi le maggioranze, dove ci si vanta tanto di aver vinto le elezioni, rappresentano a malapena la metà della metà degli elettori».

Si dirà che le istanze dei partiti liberali, centristi, riformisti interessano poco ai grandi partiti…
«E io ricordo De Gasperi che quando vinse le elezioni con la Dc si preoccupava di coinvolgere il piccolo Pli, e poi negli anni Settanta e Ottanta il Pri, i socialdemocratici. Non tanto o non solo per ragioni numeriche, ma perché si voleva estendere l’area culturale che sosteneva il governo».

Che spazio ha oggi il terzo polo?
«Ce l’ha nella misura in cui sa mettere in discussione il sistema politico nel suo insieme. Il suo non schierarsi da una parte o dall’altra deve essere sottolineato da una identità e un’autonomia forti di idee e di valori chiari. Bisogna che sulle grandi questioni si apra un dibattito e un confronto per esempio tra i riformisti del Pd, i partiti centristi, Forza Italia. Un asse che punti ad alcune grandi riforme e a rinsaldare l’Europa adesso che le questioni di Difesa impongono una scelta di campo».

Reggerà la maggioranza attuale, rispetto all’impegno per la Difesa europea, rispetto alla minaccia di Putin?
«Putin rappresenta una minaccia vera e chi non lo vede è male informato o in malafede. Non ho mai pensato che volesse fermarsi a qualche regione ucraina: quando aveva dichiarato che il momento più buio dell’ultimo secolo è stata la fine dell’Urss, ne ha rivendicato le ambizioni imperialiste. Sì, il fatto che nella coalizione di centrodestra e in quella di centrosinistra ci siano alcuni che non se ne rendono conto, è una criticità forte».

Vede ombre di crisi?
«Che ci sia una maggioranza divisa su un tema fondamentale come il posizionamento internazionale del paese è impossibile. Impraticabile. E non c’è ricambio possibile, se lo stesso problema si ripete nell’attuale opposizione. Al di là delle volontà, saranno gli effetti esterni a produrre l’implosione del sistema».

In che termini, con che tempi?
«Anche rapidi. La caduta del muro, la fine del comunismo ha comportato – nel volgere di due anni – la fine della Prima repubblica. I cambiamenti epocali che stiamo vivendo imprimeranno un’accelerazione anche superiore. Perché nel 1989 il cambiamento avvenne nel campo socialista, oggi il terremoto è nel campo occidentale. Dobbiamo ripensare il nostro sistema, dalle fondamenta: l’attacco di Trump all’Europa non lascerà inalterate le nostre istituzioni politiche».

Meloni farebbe bene a ripensare la sua maggioranza, ad aprire ad altri?
«Farebbe bene. Ne avrebbe già avuto la possibilità. Quando si è dimesso Sangiuliano avrebbe potuto chiamare una personalità terza, esterna al perimetro del centrodestra, per dare un segnale. Può e deve fare un salto quantico, dimostrare di voler riunire il paese in un momento così difficile e invitare altri, a partire dai centristi, nella sua maggioranza. Se vuole sapere cosa penso, non credo che lo farà».

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.