Il dominio della tecnica
Weimar 4.0: dal pensiero della crisi alla società degli algoritmi
Nelle riflessioni di Ulrich che punteggiano il musiliano L’Uomo senza qualità emerge, d’un tratto, la consapevolezza dell’immanenza del dubbio in una società che si schiude alla scienza e alla tecnica. Nessuna forma, riflette Ulrich, nessuna struttura può davvero dirsi data in maniera oggettiva e immutabile.
Tutto finisce per tendere, inevitabilmente, alla caduta – la caduta che sempre segue alla mancanza di stabilità e di certezza.
C’è, in quelle riflessioni, il senso di una nostalgia perenne, informe, che larvata e fantasmatica permea una società costantemente sull’orlo della catastrofe; una società preda, al contempo, del dubbio e della sete di assoluto.
E che avverte una spiccata nostalgia per l’origine, andandosi a incendiare nell’infuriare bellico della congiunzione tra massa e tecnica.L’intera opera di Musil, come pure i romanzi di Thomas Mann, le riflessioni teoriche di Freud sulla crisi nella civiltà e sul perturbante, il rilievo assegnato alla tecnica da Ernst e Friedrich George Jünger, da Martin Heidegger, la polemica tra Schmitt e Kelsen sulle forme di custodia e garanzia della Costituzione, l’emersione di tentazioni metafisiche e mistiche incistate in un sociale che si rende totus politicus, stritolando i moti dei corpi intermedi, si muovono lungo la evanescente linea d’orizzonte di una società pervasa da ora latenti ora scoperti moti tellurici prossimi alla apocalisse.
La tensione, intellettuale, politica, economica, artistica, che permea il mondo negli anni venti e trenta del XX secolo chiude definitivamente ciò che Natalino Irti, citando Stefan Zweig, aveva definito l’età della sicurezza, definitivamente spirata tra le volute di fumo e di fuoco del primo conflitto mondiale. Il pensiero della crisi si muoveva nel solco della costruzione di uno sguardo di insieme su come e quanto la tecnica mutasse geneticamente i fattori costitutivi della società nel suo complesso e dell’uomo; la carneficina del primo conflitto mondiale aveva schiuso un panorama di inferno in cui lo splendore della tecnologia si era reso prodigio di morte, ed in cui la mobilitazione di massa, spezzando la narrazione delle mobilitazioni parziali di epoca monarchica e napoleonica, aveva introiettato la massa sulla scena della storia, in una congiunzione totale con il fattore tecnico.
Il dominio della tecnica è una ragnatela che connette punti ed esistenze, inanimato e biologico, rifuggendo dalla sicurezza di qualunque centro e modificando l’uomo. Novanta anni dopo, ChatGPT e l’algoritmo-assistente Siri, esattamente come gli omologhi Alexa o Cortana, utilizzano gli utenti come loro collaboratori, nonostante la percezione del singolo individuo sia esattamente rovesciata: l’utente ritiene di servirsi di questi strumenti tecnologici mentre è in realtà l’algoritmo a determinare una ragnatela, priva di centro, esperienziale, attraverso le centinaia di migliaia di umani che lo utilizzano e dai quali estrae di volta in volta, oltre alle richieste, anche i dati e le informazioni per progredire nella sua formazione ‘cognitiva’.
La sequenza di logica intrinseca del suo sistema, il ‘codice’ per dirla alla Lawrence Lessig, del suo linguaggio preordinato e modellato a monte, capace di apprendere dalla connessione di milioni di individui e dalla determinazione di una sintesi relazionale tra ambiente reale ed ecosistema digitale, parcellizza il sociale e, come fu negli anni della crisi, innesta nella convivenza modelli tecnici realizzati secondo direttrici note solo a progettisti e sviluppatori.
In questa misura, la scatola nera e impenetrabile della logica realizzativa di un algoritmo si sublima nella ricerca faustiana di una dimensione oltre-umana, colonizzando, passo dopo passo, l’umano e le sue interazioni: è l’emersione della mobilitazione totale digitale, per utilizzare la figura coniata da Maurizio Ferraris, alimento perfezionato di una certa declinazione della disintermediazione culturale che prelude, come nel caso del populismo, la morte della politica.
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