Per uscire dall’anarchia primordiale, che è la proposta dei nazionalismi senza confini, è fondamentale avanzare proposte alternative valide. Il populismo impone l’homo homini lupus su scala nazionale, ma anche negli scenari internazionali di geopolitica. Non è questione di definirne il livello di perniciosità, quanto l’inattuale e vetusta interpretazione, lettura della società e delle dinamiche globali. L’antidoto al nazionalismo, sopito ma non domo e anzi potente, passa per l’educazione su valori sociali di condivisione e non di individualismo, che però vanno coniugati a un modello di sviluppo economico che rimetta al centro l’essere umano e non (solo) il profitto.

In Italia l’ebrezza populista è ancora lungi dall’essere disinnescata, e i principi di incompetenza al potere come ideologia egualitaria vanno di pari passo con le paturnie nazionaliste e razziste di partiti come la Lega (fu Nord). La fase cruciale della pandemia ha tacitato i cultori dei complotti, ma nel corpo sociale vive, persino rinnovata, la voglia di “rinchiudersi” nella casa materna, nella Patria che tutela e si prende amorevolmente cura dei cittadini, sudditi all’uomo. L’altra faccia del qualunquismo demagogico può essere il populismo declinato nella venerazione per i “tecnici”, per le competenze assolute e non negoziabili, non verificabili, ma assunte.

Una schizofrenia tipica delle società con deboli anticorpi sociali e politici, in cui i corpi intermedi sono poco influenti. Tant’è che in Italia lo stato di emergenza è regolato per legge dal 1992, non per Costituzione e accentra i poteri oltre che sul Governo sui tecnici della Protezione civile, ma non lascia spazi significativi al Parlamento, ed esso fino a ora si ostina a non volere aggiornare le proprie regole rimanendo in un ruolo subalterno.

Tuttavia, il populismo è una malattia che può permettersi solo un regime democratico, è un vezzo, una leggerezza intellettuale e sociale. Per momenti eccezionali servono non solo misure eccezionali, ma anche idee eccezionali e leadership …