Il Pm non capiva l'inglese e scambiò un pulitore per un camorrista...
Woodcock e le traduzioni dall’inglese sbagliate: 4 anni buttati via nel processo a Romeo
Sono garantista da molti, molti anni. Lo ero già ai tempi della lotta armata. Mi ricordo che quando stavo all’Unità, nel 1980, riuscii di straforo a far pubblicare degli articoli per chiedere la liberazione di Oreste Scalzone, uno dei fondatori di Potere Operaio. Lo dico per chiarire che non è che son diventato garantista quando ho incontrato Alfredo Romeo. Però devo ammettere che conoscere da vicino un po’ di cose su come si svolgono alcuni dei processi, nella fattispecie i processi a Romeo, ha rafforzato molto la mia struttura garantista. Ogni tanto ve ne parlo, perché scopro cose che nemmeno la mia fantasia (mai tenera nei confronti della magistratura) aveva potuto immaginare.
Vi racconto solo due episodi recenti, tutti e due collegati al processo di Napoli (quello per il quale un po’ più di cinquanta persone, tra le quali Romeo, son accusate di atroci reati grazie ai quali, tutte insieme, avrebbero guadagnato quasi mille euro, diciamo 20 a testa…). Il primo episodio riguarda il problema dell’uso della lingua inglese. È successo che nel corso delle indagini che poi servirono anche per motivare l’arresto di Romeo, nel 2016, fu intercettata una telefonata molto allarmante tra due dirigenti della sua azienda. Uno convocava l’altro a Napoli (l’altro stava a Milano) perché, diceva, sei tu “l’esperto del crimine”. Il Pm, quando ha sentito questa frase è saltato sulla sedia e ha capito che ci covava gatta-camorra. Roba grossa. Vi pare normale che una azienda di servizi abbia addirittura un addetto che è dichiaratamente incaricato di commettere i crimini?
Diverso tempo dopo uno dei due dirigenti – il convocatore – fu interrogato e gli furono chieste spiegazioni su quella sua frase folle. Lui cadde dalle nuvole e chiese di ascoltare l’intercettazione. Gliela fecero sentire e scoppiò a ridere. Aveva detto: “esperto del cleaning” – non del crimine – e cleaning in inglese, più o meno, vuol dire pulizie, ed effettivamente che una azienda che si occupa di pulizie abbia almeno un esperto in pulizie non è una cosa molto strana. Giorni fa l’episodio, esilarante, è emerso nel corso del processo. L’avvocato Vignola si è rivolto direttamente al Pm, Henry John Woodcock. Gli ha detto: “Signor Pm, lei ci ha assicurato di aver ascoltato sempre, personalmente, tutte le intercettazioni. Possibile che una persona col suo nome e di madrelingua inglese non capisca l’inglese?”. Si è riso. Woodcock è arrossito un po’. Però, francamente, non è che sia molto divertente un errore madornale di questo genere, se poi uno ci finisce in cella ed è sottoposto ad anni di estenuanti processi.
Il secondo episodio si riferisce sempre al processo di Napoli. Meno clamoroso dal punto di vista dello spettacolo, ma clamoroso e inaudito (e gravissimo) dal punto di vista giuridico. Nel corso del processo a Palamara. a Perugia, si è presa in esame la denuncia dello stesso Palamara il quale sosteneva che tutte le intercettazioni che lo riguardavano erano realizzate da una ditta privata, la Rcs, scaricate sui loro server privati e lì conservate. Circostanza molto grave: la legge lo proibisce. Dice la legge, in modo categorico, che le intercettazioni comunque devono essere realizzate in Procura, conservate in Procura, consultate in procura. Altrimenti sono illegali. Nella sentenza emessa da Perugia però è stata smontata la tesi di Palamara, perché si è dimostrato che le intercettazioni “private” sono durate fino all’aprile del 2019, poi sono state trasferite regolarmente in Procura. E le intercettazioni che riguardano Palamara sono successive all’aprile del 2019.
Benissimo. Ma tutte le intercettazioni che riguardano Romeo sono precedenti. E ci sono addirittura agli atti le lettere con le quali i Pm chiedevano alla Rcs di avere le intercettazioni. Sono tutte illegali e dunque è difficile che possano esser utilizzabili. Si userebbe come materiale fondamentale di un processo del materiale fuorilegge. E questo non può succedere. Il problema è che il processo Romeo si regge in piedi solo ed esclusivamente su quelle intercettazioni. Per il resto è a zero: non c’è nemmeno un vago indizio di reato. Del resto neanche nelle intercettazioni c’è alcun indizio di reato, però almeno ci sono dei contatti, seppure indiretti, tra i presunti colpevoli.
Non si sa bene colpevoli di che, ma l’accusa si aggrappava a quei contati per provare a costruire un suo teorema. Se saltano le intercettazioni salta tutto, non risultano più nemmeno i contatti, crolla il teorema. Quattro anni buttati via. Poi dice che la giustizia è lenta! Lenta, lenta, e spesso fuori da tutte le norme.
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