Lo Yemen, dopo oltre cinque anni di guerra, «è vittima del silenzio internazionale». A denunciarlo, in questa intervista a Il Riformista è la premio Nobel per la Pace, Tawakkol Karman. L’attivista yemenita racconta una tragedia senza fine ma con tanti colpevoli. Racconta anche, con orgoglio, il ruolo delle donne in una rivoluzione che non si è arresa. «Non è un caso – rimarca con forza la Nobel per la Pace 2011 – che siano state proprio le donne e i giovani in prima fila in quelle rivoluzioni che hanno segnato tanti Paesi arabi, tra cui il mio, lo Yemen. Vecchi regimi corrotti e dispotici, così come un integralismo retrivo e oscurantista, temono e combattono le donne perché sanno che esse si battono contro una doppia oppressione, facendosi interpreti di una volontà di cambiamento che all’idealità sa unire una straordinaria concretezza». Per il suo attivismo politico e in difesa dei diritti umani, Tawakkol Karman ha conosciuto le prigioni dell’allora padre-padrone dello Yemen, il presidente Ali Abdallah Saleh. Era il 2011, Tawakkol era presidente dell’associazione “Donne giornaliste senza catene”.

La Comunità internazionale appare impotente di fronte ai massacri che segnano ormai da anni la quotidianità in Yemen. Un recente rapporto di Oxfam dà conto di una guerra devastante, con bombardamenti pesantissimi dei quali fanno le spese soprattutto donne e bambini. 12.366 vittime civili, tra il 26 marzo 2015 e il 7 marzo di quest’anno e oltre 100 mila vittime totali. Oltre 4 milioni di sfollati interni, più di 10 milioni di persone sull’orlo della carestia. I prezzi dei beni alimentari sono saliti in media del 47%. Quasi 18 milioni di persone non hanno accesso a fonti di acqua pulita e all’assistenza sanitaria di base. Le scorte di medicine e materiali sanitari si stanno esaurendo e questo in piena pandemia Covid…
È una situazione terribile, un’apocalisse umanitaria. Stiamo parlando di esseri umani, non di numeri. Lei parla di “impotenza”. Io aggiungerei: colpevole. Perché la comunità internazionale, a cominciare da quanti siedono permanentemente al tavolo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, hanno gli strumenti per fermare la mano di tutti i dittatori-carnefici della regione. Ciò che manca, colpevolmente è la volontà politica di intervenire. Nessuno può dire: non sapevo, non avevo contezza di questa apocalisse umanitaria. Non fermare questa mattanza, è un crimine contro l’umanità.

Lei ha recentemente accusato il governo yemenita riconosciuto dall’Onu di aver esiliato il presidente Abd Rabbuh Mansur Hadi e di essere uno strumento che legittima l’occupazione saudita del Paese. Al tempo stesso, ha usato parole durissime contro il tentativo di colpo di stato messo in atto dalla minoranza Houthi, sostenuta dall’Iran…
Qualsiasi tentativo di pace che non tenga conto di questo non è altro che un tentativo di soggiogare gli yemeniti allo status quo dettato dal brutale colpo di stato degli Houthi e degli occupanti sauditi ed emiratini. Nel mio martoriato Paese c’è un vuoto di potere, le decisioni sono scritte dall’ambasciatore saudita, la firma di Hadi e del suo primo ministro non ci rappresentano, non hanno alcuna legittimità. Hadi e i suoi sodali sono soddisfatti di essere semplici strumenti in questa guerra, agenti, non leader; seguaci, non partner alla pari. Dall’inizio della guerra scatenata dalla coalizione a guida saudita, tutti questi componenti, compreso l’Islah Party, sono solo strumenti nelle mani dell’Arabia Saudita, proprio come l’STC, le truppe di Tariq [Saleh] e le Forze d’Elite.

A proposito di Arabia Saudita. Lei ha usato parole durissime nel condannare il brutale assassinio del giornalista e dissidente saudita Jamal Khashoggi, fatto a pezzi nel consolato saudita a Istanbul nel 2018. Teme di fare la sua stessa fine?
Sono soggetta a una diffusa campagna d’odio e a terribili incitazioni alla violenza contro di me da parte dei media sauditi e dei loro alleati. La cosa più importante è che sarò al sicuro dalla sega con cui è stato tagliato il corpo del defunto Jamal Khashoggi. Andrò in Turchia e lo considererò un messaggio all’opinione pubblica mondiale: questi seminatori di odio e di morte non l’avranno vinta. Mi lasci aggiungere una cosa: la comunità internazionale non è solo silente verso i crimini perpetrati in Yemen, ma una parte di essa è anche complice attiva in questa mattanza senza fine. E questa complicità riguarda anche l’Europa e quei Paesi che continuano a vendere armi all’Arabia Saudita.

Nei suoi discorsi, lei insiste molto sulla “lezione” che i giovani protagonisti delle Primavere arabe hanno fatto propria e come su questa base abbiano condotto la loro battaglia di libertà. Qual è questa lezione che lei proietta anche nei rapporti tra Oriente e Occidente?
Vede, noi giovani della Primavera araba abbiamo capito che quello che impedisce di realizzare la fratellanza fra Oriente e Occidente sono i governanti dispotici, corrotti e fallimentari. Questi governanti sono causa di una guerra interna ai nostri popoli e rappresentano una minaccia per la stabilità internazionale.

Lei ha più volte fatto riferimento ad una “fase due” della rivoluzione yemenita. Di cosa si tratta?
La nostra rivoluzione comincia con la caduta del dittatore. Ora siamo entrati nella seconda fase, una fase di transizione. Occorre cambiare i vertici delle forze di sicurezza ed eliminare la corruzione. Non sarà facile, ma non ci interessa liberarci solo di un despota. Vogliamo giustizia e democrazia e la otterremo attraverso una rivoluzione pacifica.

In questa rivoluzione le donne hanno avuto un ruolo da protagoniste…
Ne sono profondamente orgogliosa. In questa rivoluzione la donna ha assunto ruoli di guida. Donne sono state uccise per la strada… assassinate perché erano guide. Saleh diceva che dovevamo restare a casa. Ma la nostra risposta è stata: prepara la tua valigia perché le donne faranno cadere il tuo trono. Inizialmente eravamo solo tre donne giovani. Siamo state derise e arrestate. Temute. Gli uomini erano stupiti della nostra presenza e noi stesse della nostra forza. Le donne sono coraggiose e generose: non combattono mai solo per sé, lo fanno per tutta la comunità.

Quale ruolo gioca, nelle vicende yemenite, la religione?
Nel mio Paese le tradizioni mettono in pericolo la libertà delle donne. Molti religiosi danno interpretazioni personali e sbagliate dell’Islam.
I governi non fanno niente perché questo serve loro a mantenere lo status quo.

Come giornalista e attivista, nelle conferenze che tiene in tutto il mondo, lei si concentra principalmente sulla difesa dei diritti umani.
Il mio obiettivo è molto chiaro: contribuire alla creazione di Stati democratici che rispettino le libertà e i diritti umani. Ciò può essere ottenuto solo combattendo contro le tirannie che violano tali diritti e a favore della costruzione di Stati le cui fondamenta sono la civiltà, lo stato di diritto e l’integrità delle istituzioni. Porto avanti questa lotta in diversi modi all’interno della società civile e per diffondere il mio messaggio approfitto di tutte le posizioni a mia disposizione: mezzi di informazione, forum sui diritti umani, dibattiti politici, ecc. Ovunque io vada, cerco di spiegare che le tirannie privano le società di pace e sviluppo. Ogni società privata delle libertà e dei diritti umani può solo vivere una pace apparente e precaria fatalmente destinata a crollare

Per tornare al suo paese. Lo Yemen può sperare in un futuro migliore?
Non puoi pensare al futuro di un paese fino a quando la pace non verrà ripristinata. Ma la pace non sta solo nel mettere fine alla guerra, ma anche all’oppressione e all’ingiustizia. La pace senza giustizia è precaria, come un cessate il fuoco o una tregua provvisoria che è solo il preludio a eventi ancora più terrificanti successivi. La peggiore di tutte le guerre è quella che le dittature tiranniche hanno dichiarato ai propri popoli. Pertanto, rimango convinta che sia necessario lottare contro i regimi politici che non sono in grado di garantire i diritti fondamentali delle persone e delle istituzioni e di minacciarli. Dobbiamo sostituirli con sistemi democratici. Oggi come ieri, combatto per la democrazia. Ciò, nel caso dello Yemen, significa porre fine alla situazione creata dal colpo di stato e organizzare il referendum sul progetto di Costituzione che era già stato concordato nel dialogo nazionale avviato durante il periodo di transizione. Quindi, le elezioni possono essere chiamate naturalmente. Quando la vita politica tornerà al suo corso normale, ho intenzione di fondare un partito che riunisca essenzialmente donne e giovani per realizzare il progetto civico promosso dalla rivoluzione del 2011.

Lo Yemen, la Siria, la Libia, la Palestina: il Vicino Oriente sembra un immenso campo di battaglia, le cui prime vittime sono le popolazioni civili.
Quelle a cui lei fa riferimento, e se ne potrebbero aggiungere anche altre, sono guerre per procura, condotte da potenze regionali che hanno in spregio la libertà dei popoli, a cui non interessa nulla infliggere sofferenze indicibili, privare milioni di esseri umani, in maggioranza giovani, di un futuro degno di essere vissuto. Lo Yemen, per la sua posizione geografica, è un vaso di coccio tra due grandi vasi di ferro, l’Iran e l’Arabia Saudita, che si contendono la supremazia nel Golfo Persico e in tutto il Medio Oriente. Ma alla fine, ne sono convinta, il bisogno di pace che anima il mio popolo, al di là di ogni appartenenza etnica, avrà la meglio su quanti hanno tentato di annientarci.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.