La rottura
Zingaretti stufo i 5 Stelle e Italia Viva, pronto a rompere l’asse coi grillini
Sospettato di inerzia, il segretario dem lancia una bomba nello stagno fermo della coalizione che sostiene il Conte 2. In ciò facendo dà valore nazionale al voto amministrativo del 20 settembre, mette a rischio la maggioranza Pd-M5s, Leu e Iv che sorregge lo stesso Conte, svela che la coalizione giallorossa è tormentata di più e peggio di quella di centrodestra. Che dopo settimane di tormenti sembra essersi ricompattata grazie al passo indietro di Salvini sulla scelta dei candidati per regionali (sei regioni al voto) e comunali (circa mille comuni). E così, se due subbugli paralleli – nel centrodestra e nel centrosinistra – potevano per la legge degli opposti dare più forza al premier in carica, aver messo a nudo e chiamato per nome le difficoltà dei giallorossi rischia di provocare l’implosione del governo. Anche perché il voto delle regionali coinciderà con la Fase 3 del post Covid, con il temuto autunno dei disoccupati, della rabbia sociale in piazza e di una ripartenza che a quel punto non avrà più scuse per altri rinvii.
Zingaretti lancia il post su Facebook ieri a metà mattinata. Rompe un silenzio “politico” prolungato di 56 ore in cui è successo di tutto: il sindaco Gori di Bergamo ha chiesto il congresso del Pd perché ora servono visione e incisività, doti di cui, secondo Gori, Zingaretti sarebbe sprovvisto; Salvini ha masticato il boccone amaro delle regionali, ha rinunciato a umiliare Fratelli d’Italia e Forza Italia che si tengono i candidati di Puglia (Fitto) e Campania (De Luca) e ha ricompattato il centrodestra su toni più moderati consapevole che il virus ha distrutto i sovranismi; lato centrosinistra, Italia viva ha fatto quello che aveva promesso, cioè in Puglia lancia come candidato il sottosegretario Ivan Scalfarotto alla guida di una minicoalizione (con Calenda e + Europa) molto interessante per chi ha a cuore i temi di una sinistra moderna, riformista e progressista.
Uno tsunami. Con immediati effetti collaterali. Ieri il gruppo parlamentare 5 Stelle ha registrato un -2 perché hanno lasciato il gruppo la senatrice Alessandra Riccardi (approdata alla Lega) e la deputata Alessandra Ermellino che sceglie il Misto. Beppe Grillo, tra i destinatari del post di Zingaretti, non ha degnato il segretario di una replica. Ma torniamo al post di Zingaretti. «Le destre – scrive il segretario dem – combattono unite in tutte le Regioni anche se spesso all’opposizione sono divise. Per fortuna hanno candidati deboli, già bocciati in passato dagli elettori. Invece tra le forze politiche unite a sostegno del governo Conte prevalgono i No, i Ma, i Forse, le divisioni. Il motivo è ridicolo: si può governare insieme quattro anni l’Italia ma non una regione o un comune perché questo significherebbe alleanza strategica. Ridicolo!», ribadisce.
I destinatari del messaggio sono tutti i partiti della coalizione, nessuno escluso. Lo stesso Pd, quella parte (Base Riformista) che da tempo lamenta di “subìre troppo la linea dettata da 5 Stelle e Conte”. Subìre forse è eccesivo. Di sicuro i veti incrociati sono paralizzanti e non fanno decidere su troppi dossier: Aspi, Giustizia, Alitalia, Mes, decreti sicurezza, politiche del lavoro. A Italia Viva il segretario rinfaccia la scelta di non correre uniti nelle varie regioni. Anche qui, è come pretendere di fare i ricchi con i soldi degli altri: il Nazareno massacra in continuazione i renziani che da tempo, del resto, hanno annunciato di voler andare da soli alle regionali per contarsi. Resteranno in coalizione tranne che in Puglia dove c’è curiosità per il cartello Italia viva -Azione- +Europa e il candidato Scalfarotto. I renziani hanno sempre contestato la politica ultragrillina del governatore Emiliano avvertendo che la sua candidatura li avrebbe “sicuramente” allontanati dalla coalizione.
Tra i destinatari di Zingaretti anche il Movimento 5 Stelle che perde consensi a rotta di collo lacerato tra ultragovernisti (Di Maio e Grillo) e movimentisti per il ritorno alle origini (Di Battista e Casaleggio). «Subito il congresso e non ci pensiamo più», dice il Dibba. «Sei fuori dal tempo», lo ha zittito Grillo. In questo stallo generalizzato, il Movimento si ostina a fare liste individuali in tutte le regioni, dalla Campania alla Puglia. Se ne va così in frantumi – ma è mai stata intera? – la prospettiva di una alleanza strutturale di centrosinistra radicata anche a livello di territorio che dovrebbe avere Conte come leader nazionale. C’è ancora l’incognita Liguria dove il vicepresidente del Pd Andrea Orlando ha scommesso tutto sull’alleanza strutturale con il Movimento.
Ma l’accordo ancora non c’è a meno che il Pd non decida di convergere sul suo candidato, il giornalista de Il Fatto quotidiano Ferruccio Sansa. In cambio, come minimo, i 5 Stelle dovrebbero convergere in Campania su De Luca e ringraziare Valeria Ciarambino, sarà per un’altra volta. Scenari complessi. Quando sarebbe così semplice: «Le alleanze intorno ai candidati sostenuti dal Pd sono le uniche che possono fermare le destre» scrive Zingaretti. Che evoca «l’eterno ritorno di vizi antichi di una politica personalistica e autoreferenziale». Del resto, «Tafazzi non è stato inventato per caso».
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